Il 27 e 28 Novembre l’associazione di Marcianise (Caserta) Teatro Distinto porterà in scena “Il Mito di Dorian”, una nuova versione de “Il romanzo di Dorian Gray”. Uno spettacolo adattato e diretto da Gabriele Russo, che lo interpreta nel ruolo del lord Henry Wotton. Il suo doppio, e al tempo stesso nemesi, ovvero quel Dorian Gray che ha ispirato centinaia di opere teatrali e videografiche, è interpretato da Domenico Buonanno.
Classe 1981 l’uno e 1998 l’altro, entrambi marcianisani, entrambi docenti del Corso di Recitazione “L’AtThor” organizzato proprio da Teatro Distinto, ed entrambi intervistati qui.
Cosa vi ha convinto a voler collaborare con l’altro?
GR: Il suo talento, di cui avevo solo avuto percezione nel semplice dialogare. Che, attento osservatore quale sono soprattutto quando ho in mente qualche idea a sfondo artistico, per me non era non era un semplice dialogare. Avevo deciso che era perfetto per l’Ermes che stavo cercando per lo spettacolo “Prometeo”. E che era una risorsa marcianisana da non farsi sfuggire.
DB: Conoscevo già Gabriele e la realtà di TD, anche se di sfuggita, e quando abbiamo avuto modo di incontrarci di persona si è subito instaurato un certo feeling. Qualche tempo dopo mi propose uno spettacolo da portare in scena, il “Prometeo”, che mi sembrava un’ottima occasione per tornare sul palco dato che venivo da un’esperienza interculturale di un anno all’estero per la quale mi fermai temporaneamente, ma soprattutto l’opportunità di collaborare con una realtà teatrale che si approcciava direttamente alla mia città, Marcianise.
Vi siete artisticamente uniti per “Prometeo”, che da spettacolo diventa film e ora portate in scena “Il mito di Dorian”. Quale dei due copioni vi ha emotivamente coinvolto di più?
GR: Nel “Prometeo” che, ci tengo a ribadirlo, non sarà più un’opera teatrale ma lo sarà in formato filmico grazie al talento visionario di Giuseppe Torre, ho un ruolo che mi porta a soffrire, visto che lì interpreto il titano ribelle. Soffrire per il genere umano che tuttavia provo a difendere, per l’assenza di fiducia da parte degli dei ma riesco poi anche a chiedere speranza. Che non va mai persa. Pure nel “Mito” che ho tratto da Wilde, Dorian fatica a perdere la speranza, nonostante il mio personaggio, lord Henry Wotton, provi a metterlo in grossa difficoltà. Sono tutte dinamiche da cui è facile farsi travolgere e che un attore inevitabilmente ama. Scegliere tra due copioni per cui ho anche una certa responsabilità? Ti prego, non chiedermelo!
DB: Entrambi sono stati interessanti da approcciare e mi hanno emotivamente coinvolto molto, ma su aspetti diversi. Il primo testo è un forte dibattito di natura sociale: lì sono Ermes, il messaggero degli Dei, e a differenza del mio interlocutore Prometeo, non credo nel genere umano, un popolo indegno della grazia degli Dei. Tra l’altro, il periodo in cui giravamo il lungometraggio era lo stesso degli scandali sociali di razzismo sfociati nel BlackLivesMatter e non solo, come la storia tragica del povero Willy e delle tristi, ultime parole di George Floyd, uno dei periodi più bui della storia umana. Ermes, bocca della verità di tutti i mali compiuti dall’uomo, e ogni volta che recitavamo ero davvero provato dal fatto che, come razza umana, abbiamo toccato vergognosamente il fondo. “Il mito” è invece un viaggio interiore nell’animo umano, capace di grosse fragilità e di farsi influenzare fino a compiere scelte lontane da ciò che si è. Ad un certo punto del testo, Dorian ricorda con nostalgia la sua anima di fanciullo: siamo come delle tele bianche, veniamo al mondo puri e innocenti e con il passare del tempo il nostro dipinto prende forma e colori da tutto ciò che viviamo e ogni influenza sarà una pennellata decisiva che andrà a conformare il nostro ritratto finale. La speranza, tutt’altro che scontata, è quella di non dover mai rinnegare la propria anima, come accade nella storia di Gray. Diventiamo immortali per le scelte che facciamo: saranno loro a lasciare un segno nella storia, che sia piccolo o grande.
Devo aver sentito che tra artisti non è facile instaurare rapporti umani duraturi. Voi vi siete “presi” subito
GR: Io volevo solo un attore e mi sono ritrovato un nuovo, grande amico. Questa ci mancava, non c’ho più tempo per l’amicizia! Scherzi a parte, non c’è cosa migliore di due attori che, forzati da un copione a passare ore e ore insieme, riescono ad instaurare un forte grado di complicità anche umana. Il lavoro non può che beneficiarne sotto vari aspetti.
DB: È stato un approccio prima artistico. Grazie alla collaborazione di “Prometeo” abbiamo avuto modo di conoscerci meglio e, prova dopo prova, ci siamo ritrovati tra le mani un’amicizia grande quanto inaspettata, paradossalmente avanzata e rafforzatasi anche quando tutto si è fermato per le restrizioni da covid. E io che pensavo di essermi liberato di lui!
Che idea avete di come la gente, in un territorio come quello casertano, riesca a rispondere al richiamo del teatro?
GR: Durante la pandemia ho letto e sentito di tante persone che dicevano di aver finalmente capito l’importanza dell’universo teatrale, come contenitore di bellezza e passioni, per citare il mio Henry Wotton, necessario per la nostra formazione. Mi auguro che queste non restino solo belle riflessioni e buoni propositi. Il teatro ha urgenza di ripartire, ma non esiste teatro senza pubblico. Meglio se pubblico motivato e cosciente.
DB: Ora che si sta ripartendo, il messaggio del ritorno a teatro diventa sociale! In primis noi che facciamo spettacolo dobbiamo muoverci, ma allo stesso tempo è necessario un appoggio del pubblico. È ancora presto per dirlo, ma sembra che dopo le restrizioni tutti abbiamo più voglia di partecipare ad eventi, persino la curiosità di quel pubblico non proprio avvezzo a fatti teatrali, ora sembra maggiore. Posso dirlo? Sono fiducioso!
Un pregio e un difetto dell’altro.
GR: Nonostante la sua giovane età, Domenico ha una notevole maturità personale che porta anche nel suo lavoro d’attore, ma anche registico, visto che mi ha aiutato con “Il mito di Dorian”. E questo fa di lui una persona fidata, senza inutili bizze d’artista. E, credimi, nel nostro settore se ne vedono di personaggi bizzarri che sembrano le versione psicotiche di Hannibal Lecter. Un difetto? A volte riesce con riflessioni e freddure a zittirmi. Zittire me. Che è tipo una roba che manco in un film fantascientifico.
DB: Ciò che mi ha colpito di Gabriele è sicuramente il suo amore per l’arte e il teatro, sempre impegnato in mille progetti diversi anche contemporaneamente, in un’eterna lotta per far coincidere tutti gli impegni più vari: “tra il fare e non fare preferisco decisamente fare”, ama dire. Solo che poi si ricorda di essere fatto di carne e ossa. Un suo difetto, se così possiamo chiamarlo, è di farsi troppo prendere dalle cose che fa, fino a restarci male, sensibile com’è, soprattutto se persone che riteneva amiche lo disilludono.
Gabriele e Domenico, due attori, due protagonisti, ma soprattutto due amici, nonostante la differenza d’età. Perché il teatro non dovrebbe essere anche questo? Il trionfo della bellezza dell’animo umano, capace così di regalare al pubblico che crede nel teatro non solo la verità attoriale, ma anche quella umana.
A cura di
Margherita Sarno
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