Simone Habert
Interviste

L’arte che riparte: intervista a Simone Habert, artista in mostra a Bologna

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Con il costante (speriamo) stazionamento dell’Emilia-Romagna in zona gialla, comincia ad aprirsi qualche spiraglio di normalità in quel di Bologna. E questa notizia è tanto più importante per il settore culturale, reiteratamente in cima alle classifiche per danni subiti dalla pandemia. L’assuefazione al sapore amaro di questa crisi, ormai, si è quasi trasformata in stucchevole autocommiserazione. Insomma, a momenti non c’è più gusto a criticare. Ecco perché qualsiasi genere di eventi, dall’ART CITY alle esposizioni nelle gallerie, è così importante per lo stato dell’arte italiana di oggi.

In questo clima di rinascita artistica, abbiamo avuto la possibilità di fare due chiacchiere con un artista che ha finalmente avuto la possibilità di organizzare, grazie al sostegno della galleria Sant’Isaia in via Nosadella 41, una mostra personale.  Parliamo di Simone Habert, giovane artista bolognese, classe 1991, formatosi da autodidatta. Sabato primo maggio ha avuto luogo il vernissage, mentre per il 20 maggio è fissato il finissage. Caratteristica delle opere di Simone Habert, sono i soggetti che  tendono a rientrare nel filone onirico: l’autore lo realizza attraverso diverse tecniche pittoriche, ma con una particolare fascinazione per gli oli a velature tipici degli antichi Maestri fiamminghi.

I tuoi personaggi e i tuoi paesaggi sembrano vivere all’interno di un’atmosfera romantico-simbolista. Quali artisti hanno più influenzato il tuo stile?

“Mi rifaccio molto a quella che è l’arte antica, come ad esempio quella rinascimentale, ma soprattutto quella fiamminga della prima metà del Seicento. Ma molto importante per me è anche la pittura dell’Ottocento e dei primi del Novecento. Volendo citare qualche nome, penso a Vermeer, Rembrandt, la paesaggistica di Turner e, soprattutto, Bouguerau. Di quest’ultimo artista, infatti, non solo ho realizzato diversi falsi d’autore, ma in parte ne ho anche ripreso la tecnica. La tecnica di Bouguerau è misteriosa, ma sappiamo che aveva un modo di lavorare assolutamente inusuale. Nei suoi soggetti c’è sempre l’onirico e c’è sempre anche una ripresa di quella che è la tradizione antica. In particolare, il richiamo alla tradizione della mitologia greca è straordinario ed è una vera e propria riscoperta della storia e anche della tradizione e della spiritualità.

Il formalismo nella realizzazione del corpo umano ti proietta come un artista dal sapore antico. Che importanza ha avuto il corpo umano nella tua formazione? Pensi che l’arte del futuro parlerà un linguaggio meno astratto?

Sì, assolutamente lo studio dell’anatomia è molto importante in quella che è effettivamente la mia arte, sia dal punto di vista tecnico che spirituale, di autoanalisi. Sul futuro, io spero che ci sia una riscoperta di quella che è la vera e propria tradizione identitaria artistica. Certo, l’astratto ha il suo perché, non nego che anche io ogni tanto mi diverto a realizzare qualcosa di astratto. Lo ritengo, certo, anche un gioco e con questo non voglio sminuire assolutamente i colleghi che fanno astratto. Sono scelte e sono anche gusti. In ogni caso l’astratto a mio parere deve sempre avere una base che sia fondata sulla tradizione artistica. Può esserci un astratto studiato, ma non deve diventare però la scusa per considerare artista anche l’ultimo arrivato, se mi posso concedere l’espressione. Nel senso che oggi vediamo purtroppo tanti “aspiranti” artisti che si definiscono tali solo perché magari tracciano due segni con il pennello sulla tela. Sinceramente, l’arte è ormai una tradizione millenaria, che fa parte della storia dell’essere umano e della sua spiritualità. Pensiamo alle prime pitture rupestri o al ruolo dell’arte nella diffusione del cristianesimo durante il Medioevo. Nell’ultimo secolo abbiamo visto un vero e proprio degradare dell’arte. Riscoprire la figura umana e la sua celebrazione, parlando da credente, dell’opera di Dio. Certo, può essere un futuro estremamente importante per l’arte.

Simone Habert

Che influenza ha avuto la pandemia sulla tua creatività?

In sé e per sé non c’è stata una vera e propria influenza diretta. Ovviamente, se parliamo brutalmente di affari, purtroppo, come per tanti altri la pandemia non ha aiutato. Se parliamo, invece, dal punto di vista di ispirazione, sinceramente cerco di vedere oltre. Nel senso che cerco di non concentrarmi tanto su quanto di negativo accade, bensì invece su quanto mi porti al di là. Cercare sempre un qualcosa che mi spinga a trascendere rispetto a quello che è il mondo materiale. Tanti colleghi si sono cimentati in diverse rappresentazioni della situazione. Io, invece, cerco sempre di avere un occhio rivolto verso l’alto, senza però estraniarmi completamente da quella che è la quotidianità. Cerco di analizzare ciò che è dentro di me come persona – e qui ritorniamo al tema dell’onirico nella mia arte – e anche ciò che trascende alla condizione materiale. Un occhio sempre al mondo spirituale, anche da un punto di vista più ampio di fede.

Cosa ti senti di chiedere a tutte quelle persone o istituzioni che vogliano investire sui giovani artisti?

Assolutamente di non tirarsi indietro negli investimenti sui giovani. A tutti gli effetti oggi vediamo artisti che, senza alcuna offesa, sono avanti con l’età e che sono affermati. E questo va benissimo per loro. Però non bisogna mai tarpare le ali a chi si sta lanciando in questo periodo. Abbiamo tanti talenti e tanti giovani che si stanno impegnando per far crescere l’arte e per esplorare se stessi. L’arte, alla fine, diventa un modo di essere, un’esplorazione di se stessi e una più ampia conoscenza del proprio animo. Citando Sun Tzu, “conosci te stesso”. In effetti, conoscendo se stessi, si entra più in contatto con il modo che ci circonda. Quindi: aiutare i giovani sia dal punto di vista del mercato e sia anche dal punto di vista delle conoscenze. E assolutamente non limitare l’arte a quella concezione puramente mercantilistica del libero mercato, ma considerarla a tutti gli effetti un qualcosa di spirituale. L’arte è espressione reale dello spirito.

Che consigli daresti a quei giovani artisti che cercano di trovare spazio nel mondo contemporaneo?

Estremamente interessante. Allora, posso effettivamente parlare della mia esperienza. Il difficile è trovare il modo di farsi conoscere. Questo è un percorso che ho non ancora concluso, perché sto ancora cercando alcuni canali di vendita. Ciò che posso consigliare dal punto di vista psicologico è, assolutamente, non demordere. Non avere paura di farsi conoscere, anche presentandosi in galleria. Ciò, ovviamente, non significa dover firmare un contratto a tutti i costi. Comunque presentarsi, farsi conoscere e continuare a cercare spazio tramite gallerie, associazioni culturali, eventi fieristici e simili. Ribadisco che la cosa più importante è non demordere. Se si ha dentro una spinta artistica e la si rifiuta, è a tutti gli effetti come rinunciare ad un talento e ad un dono dello spirito.

Leonardo Marchesini
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