Ne “Il Principe”, saggio di dottrina politico scritto nel XVI secolo, lo storico Niccolò Machiavelli (1469-1527) scrive una delle sue frasi più famose: “Il fine giustifica i mezzi”. Lo scrive in un contesto ben preciso, al fine di sostenere la possibilità di ammettere qualsiasi atto compiuto dal “Principe”. La sua azione infatti, se compiuta a favore dello stato, non può essere limitata da dogmi morali ma deve da questi prescindere. È questo in sintesi il concetto formulato da Machiavelli in un’epoca e in una società diverse dalla nostra ma comunque paragonabili in un’ottica di riflessione.
Si può ancora infatti ragionare sul senso e sul significato della frase “Il fine giustifica i mezzi”. Possiamo farlo soprattutto oggi, anniversario della nascita di Machiavelli, dopo il siparietto in prima serata di Pio e Amedeo che, con le loro parole, ci hanno ricordato su quanto ancora dobbiamo riflettere.
“Non si può più dire nulla”
È stato (dopo il discorso di Fedez al concerto del 1° maggio) uno degli argomenti più discussi negli ultimi giorni: si possono usare parole come “ne*ro” o “f**cio” se le intenzioni non sono cattive? In sostanza, dicendolo alla Machiavelli, “Se uso queste parole per una buona causa sono giustificato a farlo?”.
Nessuno in realtà ha chiesto nulla. Sul palco si è dato già tutto per scontato, condanna per direttissima al tanto temuto “politically correct” ma la questione è più complessa di così.
Innanzitutto chiediamoci: qual è il fine che, a loro dire, giustificherebbe l’uso di queste parole?
Secondo i due comici queste parole possono essere utilizzate al fine di “normalizzarle” e renderle comuni togliendoli quella connotazione offensiva che ancora oggi le caratterizza.” Pio e Amedeo starebbero quindi facendo un “favore” alle minoranze, aiutandoli a combattere le discriminazioni. È davvero così?
La risposta è no, e per capire il perché dobbiamo ritornare a Machiavelli declinando (ancora) il suo pensiero, sopraindicato, nella nostra realtà.
Quale dogma morale?
Non viviamo più nell’epoca di Machiavelli e dei prìncipi. Viviamo (o almeno dovremmo) in una democrazia. È dunque al popolo che spetta il potere: è lui il principe le cui azioni dovrebbero essere giustificate dal loro fine o meglio, in questo caso, “intenzioni” indipendentemente dalla morale costituita.
Rientra a questo punto del discorso il termine politically correct, perché è forse il termine più mainstream per definire quella morale dai confini indefiniti che sui social si è imposta negli ultimi anni. Si tratta di una visione della realtà che, in teoria, nasce dall’astrazione della necessità di tutela delle minoranze ma che, molto più spesso, viene fatta passare come un’arma di censura del web. Così Pio e Amedeo in prima serata non avrebbero fatto altro che ribellarsi ad una morale per un “bene superiore”.
D’altronde rappresentano, e sono parte di, quel popolo che è sovrano, dunque dovrebbe essere in loro potere farlo ma, a conti fatti, non è così.
Ciò sembra incomprensibile, ma questo solo perché la “storia” così raccontata non è completa. Quello che ci si dimentica di dire infatti è che il popolo, che dovrebbe essere sovrano e dunque prescindere dalla morale, non è in realtà nel suo interno composto da persone considerate uguali socialmente.
È “ragion di stato”? Ne siamo sicuri?
Chiunque abbia un occhio realmente attento sulla realtà non potrà non ammettere che esistano ancora delle discriminazioni a discapito delle minoranze (sì, esatto: il ne*ro e il f**cio). Per secoli e secoli le minoranze sono state silenziate, adeguandosi alla narrazione imposta da chi aveva il privilegio di non essere discriminato.
Ora che finalmente parlare e combattere contro razzismo e omofobia è importante, siamo sicuri di poterlo fare senza ascoltare la voce di chi lo subisce? Il popolo-principe non corre forse il rischio di non riuscire realmente a capire come lottare contro la discriminazione, in quanto “ragion di stato”, se dimentica indietro le parti che ne sanno di più? E infine: se le dimentica, gli interessa davvero perseguire questo obiettivo o forse, più che la “ragion di stato”, ciò che gli importa veramente è continuare a dire tutto ciò che vuole senza subire le conseguenze?
Ai posteri l’ardua sentenza.