Nell’ultima settimana in Francia si è aperto un dibattito non ancora conclusosi.
L’opinione pubblica si è spaccata di fronte ad un problema non semplice che comporta l’entrata in gioco di più fattori, ovvero: “Il certificato di verginità”.
Questo “documento”(il cui nome è quasi un tuffo nel 1200) servirebbe ad attestare la verginità delle ragazze la cui famiglia lo richiede.
Ma come è possibile attestare la verginità di una donna?
Il documento incriminato
Il documento (che di medico ha solo l’aspetto) si baserebbe sulla presenza dell’imene (la membrana mucosa che si estende da un lato all’altro della vagina), la quale dovrebbe garantire “l’integrità fisica e morale” (welcome back medioevo!) della donna anche nota col nome di verginità.
Richiederlo è pratica comune in paesi come Egitto o Afghanistan, ed è pratica rara ma presente anche qui in Europa ed in particolare il Francia dove, appunto, ciò ha portato al dibattito dell’ultima settimana.
Vietare, o non vietare il “certificato di verginità”?
È questo il problema.
La decisione del ministro dell’interno
Fu il ministro dell’interno francese, Gerald Darmanin, a sollevare la questione.
Sostenne, mesi fa, la necessità di impedire che tali certificati fossero rilasciati dal personale medico.
I documenti infatti rappresentano, per il ministro, un’aperta violazione dei principi su cui la repubblica francese si basa e ciò lo ha portato alla “mossa” che ha scatenato le polemiche.
È stato infatti in questi giorni che ha annunciato la proposta di un disegno di legge che metta al bando i “certificati di verginità”, imponendo una sanzione pecuniaria a quei ginecologi che decidessero di fornirlo.
Così la Francia si divide, e, a non essere d’accordo su questa proposta sono proprio i medici stessi.
Un certificato inutile e sessista
Il “certificato di verginità” non ha alcuna valenza medica.
Non è infatti possibili stabilire la verginità di una ragazza in relazione alla presenza o meno dell’imene.
L’imene non è un cellophane.
L’imene è una membrana elastica che può rompersi durante il primo rapporto ma può rompersi anche nei rapporti successivi.
Così come può rompersi durante un prolungato sforzo fisico, o non essere presente.
È dunque di fatto una pratica totalmente inutile, oltre che una chiara violazione dei diritti delle donne.
Un esame il cui scopo è quello di “attestare” la verginità della donna infatti si porta dietro l’umiliante retaggio patriarcale per cui la donna ha valore non in quanto essere umano ma perché ancora “pura”.
La donna è considerata un oggetto sessuale e ha valore solo se ancora “nuova”, “intoccata”.
Questo rappresenta tale documento, eppure i medici francesi si sono opposti all’eventualità di vietarlo.
Perché?
Il dovere di proteggere
Il motivo che ha spinto i medici a scrivere la lettera (pubblicata sul giornale francese “Libération”) di dissenso al primo ministro è, paradossalmente, la volontà di proteggere le ragazze.
Per molte di loro infatti poter aver quel certificato significa avere la vita salva.
“In un mondo ideale bisognerebbe rifiutarsi di rilasciare un documento del genere”, è stato scritto.
Ma in un mondo ideale non viviamo “E quindi sì, possiamo essere portati a fornire un certificato di verginità se la giovane ha bisogno di un documento che attesti che è vergine perché si smetta di tormentarla, per salvarle la vita, per proteggerla se è indebolita, vulnerabile o minacciata nella sua integrità o dignità“.
Non possiamo condannare a morte una persona solo perché riteniamo che quel “documento” sia retrogrado e sessista. Lo è, certo, ma una vita vale più di qualsiasi principio.
È questa in sintesi la posizione dei medici francesi, la quale ci porta a mettere in evidenza un altro aspetto.
La proposta di legge, così come è stata strutturata, colpisce il personale medico legandogli le mani ma non colpisce la pratica in sé.
Chi infatti ci assicura che non potendo ricorre alle vie legali non si passi al “fai da te”?
Questo è successo nei paesi in cui l’infibulazione è stata proibita.
Se una pratica è radicata nella mentalità non la sradichi negandola dall’alto.
Impedire ai medici di fornire il “certificato di verginità” significa quindi togliere alle donne la possibilità di una protezione. Significa metterle nelle mani di gente senza scrupoli che sulla loro pelle vuole lucrare.
Non è dunque questa la soluzione a cui si deve giungere.
Intervenire dal basso
D’altra parte però non si può non intervenire in alcun modo su tale situazione.
Non si può accettare passivamente ciò che potenzialmente mette a rischio la vita di esseri umani.
Dal momento che però risulta inutile, ed anzi rischioso, vietarlo dall’alto, l’unica solo soluzione è intervenire dal basso.
In quest’ottica appare necessario un progetto culturale e di informazione, che interessi le famiglie delle ragazze, al fine di creare una consapevolezza comune, frutto della conoscenza e non della superstizione.
Al contempo è necessario garantire una rete di protezione per le ragazze, in modo tale che nessuna di loro si possa trovare in pericolo.
Solo così, forse, in futuro questo mondo assomiglierà un pochino di più ad un “mondo ideale”.