“Volevano una canzonetta radiofonica. Gli ho risposto che non ho canzonette nel cassetto e non ne cerco. Se devo fare la fame, per non cedere a compromessi, la farò. La mia forza è questa: non avendo marito né figli ai quali pensare posso vivere con poco. E così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un’artista libera.”
Giuni Russo
Queste parole, di questi tempi, suonano strane e demodé. Siamo talmente abituati a vedere spuntare talenti come funghi e a vederli confezionare canzonette che sembrano l’una un fac-simile dell’altra, che tendiamo a pensare al mondo della musica come ad un girone in cui puoi entrare solo se sei pronto a spogliarti della tua personalità: “lasciate ogni speranza, o voi che entrate…”. Se non accetti di vendere la tua anima, sei fuori.
Scomparsa prematuramente la notte tra il 13 e il 14 settembre 2003, Giuni Russo non è mai caduta vittima di questo meccanismo dello showbiz, ma l’ha sempre combattuto, rivendicando il suo diritto di essere un’artista libera e non schiava delle tendenze del momento e dei giudizi delle major. Ha sempre voluto proteggere, sopra ogni cosa, la sua libertà artistica, rifuggendo i dictat e l’omologazione: dopo aver interrotto i rapporti con la grande casa discografica CGD (di Caterina Caselli, ndr) , si è rifugiata nell’etichetta indipendente Bubble Records dove ha potuto esprimere tutta sé stessa senza condizioni.
Artista di ricerca, Giuni ha votato la sua vita alla sperimentazione musicale: riusciva a muoversi agilmente tra jazz, musica elettronica, blues, lirica, pop e musica classica grazie alle sue capacità vocali quasi infinite, che la posizionano al fianco delle più quotate e conosciute Mina e Whitney Houston. Di seguito, vi proponiamo 5 (+1) canzoni che mostrano le sfaccettate sfumature della carriera musicale di Giuni Russo.
1. L’autoironia di Giuni Russo: “Se fossi più simpatica sarei meno antipatica”
Per Giuni non c’era limite che non potesse essere superato: un grande esempio di sperimentazione è costituito, a nostro parere, dalla spiazzante “Se fossi più simpatica sarei meno antipatica”, brano fortemente autoironico. La canzone non è altro che una rivisitazione in chiave protorap di “Fortunello” di Ettore Petrolini, reso più attuale nel testo. L’idea del pezzo fu di Franco Battiato, con cui Giuni Russo strinse un felice sodalizio artistico.
Passatista e futurista, autoironica e profonda, Giuni parla in questo pezzo a chi non la capisce: se fossi come mi volete voi, non sarei quello che sono. Soltanto un’artista eclettica e profonda come lei rispolverare Ettore Petrolini con il “Fortunello”, solo lei poteva capire la sfortuna e il dolore di non essere capiti.
Geniale la frase “se fossi una badessa, farei veder la f…ede”: glielo vogliamo dire ai trapper che Giuni Russo li aveva preceduti?
2. La derisione del tormentone estivo: “Un’estate al mare”
“Un’estate al mare” la conoscono anche i muri. Tutti sanno che fu frutto del sodalizio artistico con Franco Battiato, ma non tutti sanno che rappresenta la presa in giro del tormentone estivo: sotto le armonie ballabili e le tematiche spensierate, si cela in realtà il canto speranzoso di una prostituta di strada, che sogna finalmente una vacanza al mare in mezzo a quelle “gomme d’automobili” bruciate nelle “sere quando c’era freddo”. Si gioca tutto sulla contrapposizione tra sogno e realtà: la vita desiderata, le vacanze, il mare, la libertà dal lavoro, e la solitudine e il rapporto di schiavitù nella quale è costretta ogni giorno.
Questo brano rappresenta anche una grande prestazione vocale di Giuni, che imita il canto di un gabbiano arrivando ad una estensione vocale quasi aliena. Il pezzo, che doveva essere solo una parentesi commerciale, finisce per trasformarsi nella sua gabbia dorata: ma, col senno di poi, rappresenta la summa di tutti gli sfaccettati aspetti della personalità di Giuni.
3. Il rapporto con il mondo LGBTQ+ : “Babilonia”
Nel gennaio 1984 rilascia un’intervista al mensile gay Babilonia, in cui affronta svariati temi, tra i quali il suo rapporto con i fan gay, la sua immagine, l’omosessualità nel mondo della musica italiana. Questo tema incontra anche la sua vita privata: non è più un mistero che Giuni e la sua paroliera, produttrice autrice e manager, Maria Antonietta Sisini, fossero legate sentimentalmente, ma in tempi bigotti come l’Italia degli anni ’80 ci voleva coraggio nell’affrontare certi temi. A loro due il coraggio non mancava, ma corrodevano il sistema dall’interno più che lo scontro esplicito e frontale: un esempio è la canzone “Babilonia” (omaggio al nome del mensile), che allude al versante più trasgressivo della vita notturna gay dell’epoca.
4. La spiritualità: “Moro perché non moro”
La sua compagna di vita Maria Antonietta Sisini ha raccontato che «negli anni Novanta Giuni era rimasta folgorata dalla figura di Santa Teresa d’Ávila. La notte a volte mi svegliava e mi diceva: “Dobbiamo musicare questa donna, è meravigliosa”, e io: “Figurati, è del 1500, io non riesco”. Andò avanti così fino a quando, un giorno, in macchina, la sento cantare una poesia della stessa d’Ávila.».
A metà degli anni Novanta, racconta madre Emanuela, priora del Monastero delle carmelitane scalze di Milano, Giuni «telefonò per avere il testo esatto della poesia “Desiderio del cielo” di santa Teresa, da cui poi venne la canzone Moro perché non moro che volle farci ascoltare». Attratta dalla spiritualità del Carmelo, Giuni divenne una «Carmelitana d’amore» trovando nella fede quel sostegno che aveva sempre cercato e che la diagnosi di un tumore acuì.
5+1. Il canto del cigno: “Morirò d’amore”
“Morirò d’amore” rappresenta il canto del cigno di Giuni Russo (morirà un anno dopo), che la canta al Festival di Sanremo del 2003 e che ha l’aria del «testamento musicale», pur risalendo in realtà a qualche anno prima (era stata scartata dalla giuria del Festival nel 1997).
La inseriamo in questa lista perché nella sua interpretazione, che l’ha portata sul palco dell’Ariston dopo le cure chemioterapiche di cui porta i segni, si coglie tutta la sofferenza della malattia e la dignità di una donna che non si arrende.