In questi giorni mi sono chiesto più volte cosa pensi uno studente di scuola superiore, che sta studiando la Seconda Guerra Mondiale, del dibattito sul 25 aprile. Ho la sensazione che i politici protagonisti del dibattito non se lo chiedano.
Fa un certo effetto come settantotto anni dopo si discuta ancora dei fatti senza avere maturato una coscienza collettiva sulla festa del 25 aprile. Stiamo parlando di passato remoto del quale stiamo perdendo progressivamente i testimoni diretti; e se la classe dirigente del Paese non ha la minima intenzione di costruire un sentimento unitario attorno alla Liberazione, che cosa ne rimarrà quando sarà scomparso anche l’ultimo testimone?
È una domanda che non sfiora, fatte le opportune eccezioni, chi sta dando corpo e voce alle istituzioni di questo Paese. Alcuni non ammettono neppure di poter contribuire alla cosa pubblica perché qualcuno, settantotto anni fa, si è ribellato al regime fascista combattendo per la democrazia.
In questo senso il 25 aprile non è la festa di una generica libertà: è la festa della Liberazione dal nazifascismo. Una didascalia non secondaria e per nulla compromissibile, altrimenti verrebbe meno la memoria storica.
Il 25 aprile in Italia non può essere neanche la festa contro tutti i totalitarismi come desinerebbe qualcuno. È la festa della liberazione dal nazifascismo. Certo, esistono date di nascita o rinascita per ogni Paese ma che sono collegate a fatti precisi e non generalizzatili.
Il non antifascismo è una posizione ammissibile?
Nessun rappresentante delle istituzioni può rifiutare l’antifascismo: è come rifiutasse il proprio incarico che da quella storia è nato. Ed è anche impossibile che la seconda carica dello Stato il 25 aprile vada a commemorare un oppositore di un altro totalitarismo in un altro Paese. Rappresenta una generalizzazione forviante che equiparare fatti e storie diverse, non meno tragiche ma diverse.
Se la Destra sta dando uno spettacolo indecoroso sul 25 aprile, va detto che alcune invettive dell’opposizione non aiutano a storicizzare il fascismo. Troppo spesso infatti il fascismo viene utilizzato come clava da lanciare contro l’avversario politico con l’obbiettivo di delegittimarlo. Però, come insegna la favola di “al lupo al lupo” gridando troppo spesso al fascismo si corre il rischio di assuefare le coscienze dell’opinione pubblica che invece servono sempre sveglie e “non dopate”.
Ecco che allora, se da un lato dovrebbero imparare che nelle istituzioni si è antifascisti; dall’altro l’avversario non può essere fascista perchè, qualora lo fosse, non sarebbe più un avversario ma un nemico e sarebbe il sintomo che la Costituzione ha smesso di funzionare.
Sul 25 aprile una pacificazione non è solo auspicabile ma è necessaria. Sempre che per pacificazione non si intenda mettere sullo stesso piano fascisti e antifascisti: in questo caso non si pacificherebbe proprio niente, si rivedrebbero i fatti storici che proprio lo studente con cui ho iniziato sta leggendo sui libri.
La politica non può permettersi di avere visioni opposte sulla storia costitutiva del Paese: è un cortocircuito senza senso che danneggia l’immagine delle istituzioni.
Sulla costituzione del Paese non si possono avere pareri: è la storia a parlare.
Buon 25 aprile.