I riferimenti a persone esistenti e fatti accaduti sono tratti da una storia vera.
Anzi due.
Quel sabato 2 agosto 1980, la città di Bologna ardeva come solo una città dai tetti rosso fuoco è capace di fare. Già all’alba il calore invadeva le strade, rinsecchiva le grondaie, irrompeva nelle case e metteva in movimento i ventagli delle nonne mattiniere. Si trattava però di un caldo che non soffocava chi partiva per le vacanze: ormai Ferragosto incombeva e la città dei portici si stava svuotando. Pochi i benestanti che sfidavano l’asfalto e partivano in Mini Minor, molti coloro che tifavano per la soluzione più economica, il treno.
Da qualche giorno, Roberto aveva deciso di partire quel sabato: a metà mattina si sarebbe recato in stazione e avrebbe raggiunto la montagna. Mentre sorseggiava il caffè, il primo sole dava il buongiorno alla valigia sistemata in ingresso. Con la mente già pregustava le Dolomiti, l’aria dei boschi, l’acqua di fonte, l’odore della pineta, il silenzio dei calanchi. Non vedeva l’ora di percorrere con suo padre i sentieri rocciosi con lo zaino in spalla. Ancora poco e avrebbe rivissuto quelle sensazioni, doveva solo recarsi in stazione e prendere il treno. Dopo aver riposto la tazzina nel secchiaio, stava per uscire quando il telefono di casa suonò. Il ragazzo alzò la cornetta, rispose affermativamente, prese le chiavi e una volta chiuso il portone alle sue spalle, si diresse verso destinazione. Senza saperlo, per coincidenza della vita, quel giorno Roberto scelse il suo destino.
Quel sabato 2 agosto 1980, Gabriella e sua cugina avevano deciso di fare un giro in centro, prima di salpare per il mare. A metà mattina si sarebbero recate in stazione per vedere gli orari e telefonato ad un amico per comunicare il loro arrivo. Una volta arrivate nell’androne in stazione esaminarono i tabelloni poi si diressero al corridoio delle cabine telefoniche. Ma Gabriella era impaziente: solo allora, si era convinta a comprare dei sandali visti poco prima in un negozio in Montagnola. Era sicura che al mare, con la pelle abbronzata, il vestito giallo preferito e quei sandali, avrebbe fatto un figurone.
Le due ragazze si erano messe in fila alle cabine quando Gabriella chiese alla cugina se avessero potuto tornare al negozio. La cugina esitò ma Gabriella insistette: e se avessero venduto i sandali? Per una volta che li trovava belli e comodi. Insomma, c’erano molte cabine telefoniche vicine al negozio, sua cugina avrebbe potuto telefonare in una di quelle mentre lei provava i sandali. Le ragazze si guardarono per un attimo. Senza saperlo, per coincidenza della vita, quel giorno Gabriella scelse il suo destino.
Quel sabato 2 agosto 1980 all’ora di punta, la stazione centrale di Bologna pareva un cuore pulsante che allacciava le vene e le arterie d’iItalia. Un groviglio di gambe e valigie attraversava le strisce pedonali di viale Pietramellara e raggiungeva il piazzale centrale. Su quello stesso piazzale, il 37 riversava o prelevava a intervalli regolari gruppi di persone carichi di borse. I vacanzieri aspettavano la propria coincidenza alla Cigar facendo colazione, leggendo, chiacchierando. Alcuni passeggiavano guardando ora le vetrine dei negozi ora i binari. Chi partiva per lavoro era in fila per comprare le sigarette e il giornale, altri erano nella sala d’aspetto pazienti.
Un via vai di taxi e auto nel piazzale si aggiungeva al pesante agglomerato di persone che spingevano per raggiungere i binari. All’ingresso, più di un centinaio di nasi all’insù e dita alzate controllavano e indicavano l’orario del treno desiderato sui tabelloni. Nel corridoio delle cabine telefoniche, quello che congiungeva l’androne alla sala d’aspetto, file di persone erano in attesa di parlare all’altro capo del filo. Senza saperlo, per coincidenza della vita, molte persone quel giorno scelsero il proprio destino.
Quel sabato 2 agosto 1980, alla stazione centrale di Bologna una bomba scoppiò senza preavviso. E Bologna parve città morta, quel suo cuore pulsante esploso in un intenso e violento battito. E per un attimo, quel sabato mattina d’agosto, il tempo si fermò alle 10.25. Senza preavviso.
Fu così che la normalità fu spazzata da 20 chili di nitroglicerina posti nella sala d’attesa di seconda classe. In un attimo, la violenza aveva sfondato il muro del suono e dell’ala ovest, sfasciato il primo binario fermo ad aspettare la propria sorte. Aveva spaccato l’orologio, fermato il tempo alle ore 10.25, cancellato la vita di 85 persone e cambiato per sempre quella di molte altre. In un attimo aveva colpito Bologna, il suo centro, il suo cuore, la sua quotidianità, la sua realtà. Fu solamente un attimo, un battito, un momento sospeso nel vuoto, un fermo immagine lungo una vita.
Niente fu come prima: non esisteva più il lato ovest, la sala d’attesa, le cabine, il via vai di persone dirette a destinazione. Non esisteva più il posto finestrino, autobus e taxi in attesa sul piazzale. Non esistevano più ruoli, capistazione, viaggiatori, clienti, camerieri, addetti alle pulizie, figli, nipoti, fratelli, genitori, vite. Tutto si era azzerato e non esisteva più niente se non macerie. Niente se non disperazione. Niente se non speranza.
Bologna ferita grondava sangue di persone la cui unica colpa è stata di aver perso una coincidenza o esser scese dal treno. Di aver accettato o rimandato una vacanza. Di aver cambiato idea all’ultimo, di aver visitato l’Italia o la città proprio in quel periodo, di non aver scelto altro mezzo di trasporto. Persone innocenti la cui unica colpa è stata quella di aver fatto la scelta sbagliata.
All’epoca, Gabriella ancora studiava, aveva capelli e occhi scuri, la pelle bianca in attesa del mare, la giovinezza in una mano e la vita nell’altra. Poco prima dell’esplosione aveva convinto la cugina a tornare a comprare i desiderati sandali; le ragazze erano appena uscite dallo stretto corridoio e raggiunto il portico all’entrata quando la bomba scoppiò e la nube di detriti le invase. Si strinsero forte la mano e cominciarono a correre sfidando il muro di gente terrorizzata che per poco non le travolse. Si fermarono sfinite una volta raggiunto l’angolo est della stazione, dietro al ristorante, unico luogo di relativa calma in quella strage. Solamente allora si guardarono intorno attonite: di solito le tragedie succedono sempre lontano dalla propria casa, lontano dalla propria quotidianità. Quel giorno Gabriella si salvò per una manciata di secondi.
All’epoca, Roberto già lavorava, aveva capelli scuri e occhi verdi, la passione per la pesca, la pelle abbronzata per le estati passate al fiume. Quella mattina, prima di uscire di casa aveva ricevuto la telefonata di un amico che lo invitava a passare un’ultima giornata a pescare. È stata la passione a fargli cambiare i piani: non sarebbe stato un problema raggiungere i suoi genitori il giorno seguente. Solamente una volta tornato a casa la sera e accesa la televisione, avrebbe appreso la notizia della strage. Quel giorno Roberto si salvò per una manciata di secondi.
Fatto sta che la mattina del 2 agosto 1980, il libero arbitrio ha fatto pesare l’ago dalla parte della vita o dalla parte della morte. Quel giorno i miei genitori scelsero inconsapevolmente la vita.
Bologna non dimenticherà mai il 2 agosto: le urla di terrore, le grida di disperazione. Chi correva per scappare, chi aveva col cuore in gola al binario per cercare i propri cari. Quelli fermi per il panico piangevano o invece urlavano e basta. Quelli feriti non ragionavano per il dolore o non riuscivano nemmeno a chiedere aiuto mentre una nube di polvere inglobava cose e persone indistintamente. Mentre le macerie schiacciavano i resti di corpi morti innocenti, quegli stessi resti che tristemente si accumulavano sul 37.
Chi sopravvisse alla strage di Bologna e, in generale, agli anni di Piombo, ai loro figli e i figli dei loro figli e così via. Ecco, tutti noi sopravvissuti abbiamo un compito molto importante. Quello di custodire il ricordo perché
“resta il profumo di un fiore / per Bologna e la sua stazione
è il fiore della memoria / che sboccia ad ogni stagione”.